martedì 7 maggio 2013

"Caro Pd ti scrivo..."

Riporto qui la lettera di un giovane del Partito Democratico, Mattia Peradotto (Qui qualche sua info) che scrive al nostro partito, con il buon auspicio, dopo una serie di considerazioni, purtroppo vere, di poter "far nascere il Pd"!


Caro Pd ti scrivo, così mi distraggo un po’.
Il Pd è nato in queste primarie 2012, dicevamo in tanti; convinti, anzi speranzosi, che quel bagno di gente, quel vento di confronto, di cambiamento e di entusiasmo avesse investito, travolto, un partito per troppo tempo bloccato, pauroso, immobile nella sua difesa della posizione. Gli equilibri interni sempre da rispettare, le 12, 13, 15 correnti da sistemare. Sembrava in quei giorni di novembre che avessimo superato quella logica degli ex, quello sguardo tutto rivolto al passato, che ci aveva fatto cadere spesso e male, perché se non guardi avanti come puoi pretendere di trovare la strada da seguire? Come puoi pretendere di guidare se procedi a tentoni, “obtorto collo”, cercando la via più facile, la più comoda, quella che mette meno in discussione quello che eri e che non tocca minimamente quello che sarai?
Noi credevamo di aver spazzato via in un colpo solo i piccoli potentati interni, i capibastone, i controllori di tessere. Noi credevamo che parlare di pacchetti di voti fosse roba da Cirino Pomicino, sconfitta dal tempo e dalla voglia di cambiare di un partito rimasto bambino troppo a lungo. Siamo stati naive, forse ci siamo voluti illudere che un “tutto e subito” fosse possibile, che fossimo entrati grazie a quel progetto politico avanguardista, pur con tutti i suoi difetti, in una democrazia matura. Le primeavvisaglie degli errori, dell’ingenuità che ci aveva tappato gli occhi le abbiamo vissute nella campagna elettorale. Quella risacca programmatica e politica che mirava a far rientrare l’onda di cambiamento nei confini conosciuti (per dirla alla Blair “una sinistra familiare, una sinistra di difesa dello status quo”), che però non si accorgeva come quella ritirata nel porto sicuro fosse in realtà un errore fatale, perché nel conservatorismo l’elettore si affiderà sempre alla destra, a quell’idea di argine sociale contro tutto ciò che ci può spaventare nel mondo, ma che ci fa anche crescere.
Le avevamo viste le prime avvisaglie ma eravamo troppo concentrati sull’obiettivo, eravamo troppo fiduciosi che il Pd fosse nato davvero, unito da una competizione al rialzo tra un’area liberale e un’area socialdemocratica, un confronto da cui nascono progetti e visioni, perché fondato sulle idee. Eravamo convinti che davvero il contributo di tutti poteva, anzi doveva, contare; le migliori esperienze locali valorizzate come in un vero partito federale, la discussione che divide ma accresce. E invece siamo andati incontro ancora una volta ad aspirazioni frustrate, a unaccentramento totale di linee politiche e di scelte. Dopo l’ubriacatura pop siamo tornati alle torri di avorio, ai caminetti dove i veri protagonisti di tutto quello che pensavamo di aver travolto e superato hanno deciso per noi e su di noi.
Sono riemerse con prepotenza le correnti personali: i vari franceschiniani, lettiani, fioroniani, bassoliniani addirittura. Siamo ricaduti nella logica della lottizzazione, della spartizione anche nella partita del Presidente della Repubblica. E ci siamo svegliati con un partito mai nato, con l’urlo di gioia strozzato in gola. Ecco perché ti scrivo, caro Pd, perché sono “young and naive still” e penso che non tutto sia perduto, penso che la torre d’avorio sia scossa sempre più da fremiti e fermenti, che il tempo dell’autoreferenzialità è finito per sempre. Ti scrivo perché tanti “nativi democratici” ingrossano le tue fila sempre di più. E, paradossalmente, nel momento in cui più insistentemente si torna a parlare di ex, a fare l’albero politico-genealogico dei ministri del governo Letta, nel momento in cui i colpi che vengono assestati a questo “partito mai nato” dalla nomina dei sottosegretari sembrano più che letali, sempre più gente decide di impegnarsi.
A loro, a me, a tutti quelli che credono in questo progetto anche dopo anni di aspettative frustrate, di rospi ingioiati, di Miccichè e Biancofiore sottosegretari, dico che è il momento di farlo nascere. Con consapevolezza, ma senza lasciare indietro l’entusiasmo, vi dico che non c’è scorciatoia che possiamo imboccare: dobbiamo andare e prenderci questo partito, senza sconti. “The New Frontier of which I speak is not a set of promises, it is a set of challenges”.

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